DI(STRA)ZIONI.

Dopo qualche giorno e’ con un po' piu’ di tempo a disposizione, torno a scrivere.
Torno a scrivere spronato anche dall’intervento di ieri fatto da Mario (ndr: nostro forumista intervenuto su altro argomento), che auspicava di leggere qualcosa di mio.

Bene, iniziamo.

Comincio con il dire che nei prossimi giorni vi saranno delle novita’ in merito all’ iniziativa sulle problematiche della Piazza di Paluello.
Allo stato non sono in grado di quantificare di quale entita’, ma vi saranno.
E questo si "muove" esattamente nelle direzione per cui e’ nato www.stranelcuore.it .

Nel nostro strano Paese fatto di genialita’ ed irrequietezza, di confusione e di divisione, di bel vivere e di furbetti, credo che si pecchi principalmente di mancanza di comune buon senso.

Ma come puo’ essere definito il “buon senso”?
Semplificando, presumo sia l’attitudine a guardare ed a giudicare le cose in funzione del bene.

Significa avere buon senso gettare le cartacce nel cestino.
Significa avere buon senso non fare agli altri cio’ che non vorresti ti fosse fatto.
Avere buon senso, suppongo, significa smettere di aspettare che siano gli altri a fare cio’ che riteniamo si debba e sia giusto fare.

E’ certo che ognuno di noi ha delle capacita’. Piu’ cose si sanno e piu’ alta e’ la qualita’ delle nostre nozioni e piu’ sara’ efficace la nostra capacita’ di fare.
Nel “fare” ognuno di noi evolve.

Di fatto, un circolo virtuoso: conosco; per quel che conosco faccio; per come faccio divento.
Senza per questo dover essere geni od eroi.
Nel “diventare” imparero’ piu’ cose, quindi sapro’ fare meglio e diventare ancor altro.
Questo circolo funziona se il principio della conoscenza è reale, se il presupposto e’ autentico.
Non smettere mai di farsi domande. Questo lo spirito che da’ genesi e guida www.stranelcuore.it.
Ed alle domande su Paluello contiamo, nei prossimi giorni, di dare delle risposte.

Andiamo avanti.

Durante lo scorso mese di giugno un dato fatto di cronaca mi ha particolarmente colpito.
Ho valutato se scriverne o non scriverne in quanto argomento che tange la sensibilitè personale di ognuno di noi, ma penso sia giusto fare alcune riflessioni anche in virtu’ di quel furbetti di cui scrivevo sopra.

Il fatto di cronaca di cui parlo sono gli orrori della Clinica Privata Santa Rita di Milano.

Ho cercato nei meandri del mio lessico peggiore, in quella zona d’ombra dove releghiamo i termini che vengono a galla solo quando a proporli alla voce sono la rabbia, l’odio, l’ira.
Non li ho trovati, tutti insufficienti, tutti inadeguati per difetto.

La considerazione della vita umana portata ad un valore pari a zero, per soldi.

Qui, per lucrare, si facevano operazioni inutili su pazienti sani, uso di protesi non sterilizzate, interventi che non servivano a nulla e che hanno causato la morte di almeno una decina di persone. Il tutto scientificamente organizzato, pianificato.

Io non ho parole, ma una convinzione.
Tra me e queste persone c’è una differenza antropologica.
Non li posso riconoscere come miei simili.
Non sono uomini, sono qualcos’altro.

Medici drogati dall’inusitato desiderio di “soldi”, che non fanno del bene bene alla loro preziosa categoria e che si collocano arbitrariamente fra la vita e la morte dei loro pazienti.

Ma la morte è quella nostra, non la loro.
Ma loro, probabilmente, sono gia' “morti dentro”.
Punto.

Ci si legge su queste pagine, alla prossima,

Patrizio Fuser